bdsm
Rita, le mani. Cap 2
di RandagiVlad
18.12.2023 |
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"E più spingevo, più le sue dita si tendevano verso di me, più “abusavo” di lei, più era disponibile a farsi fare quel che io desideravo (E CHE LEI..."
[continua]...Rita aveva cominciato a farmi un pompino appassionato: non so quanto fosse la “sua specialità”, quanto le piacesse, o quanto fosse la sua indole a darsi a me e darmi tanto, tant’è che ci mise lussuria, prima ancora che impegno e gusto. Prese in bocca la mia cappella stringendola tra le labbra a stuzzicando il meato urinario con la lingua, lo estrasse e, reggendolo tra le dita, leccò il cazzo dall’alto in basso e dal basso in alto, portò sotto la sua lingua a lambirmi il buco del culo. Fino ad infilarci la lingua e poi tornare su, alla punta dell’uccello. Mentre mi pompava, mollò la presa delle mani per allungarle sul mio ventre e sul petto: le dita tese, senza afferrare nulla, come in preghiera, come a chiedere “prendimi”.
Il suo modo di succhiarmi il cazzo era a metà tra la dedizione e il desiderio di controllo del maschio (che spesso si ha facendo un pompino, essendone protagonista).
L’istinto mi fece allungare una mano sul suo capo che dondolava su e giù, sopra e attorno alla mia carne maschia e… spinsi. Sì: spinsi giù la sua testa, le sue labbra, la sua gola, dandole il ritmo del lavoro che faceva; le indicavo come volevo mi facesse godere, la forzavo a spingersi sempre più giù, sempre più giù, fino a premere la cappella in fondo alla sua gola, fino a sentire le sue labbra carnose alla base del cazzo e il suo naso schiacciato sul ventre.
La tenni qualche secondo così, attorno a me ed in mio possesso, prima di alzare la sua testa per i capelli e lasciarle prendere fiato. Rita mi guardò con gli occhi lacrimanti per lo “sforzo” di averlo avuto così in fondo, con un filo di bava che correva dal suo labbro inferiore al mio glande. Rita non abbassava gli occhi e teneva la bocca aperta.
“Prendimi” le leggevo dentro.
“Prendimi” la sua preghiera.
E la mia mano dette soddisfazione a quella muta richiesta, guidando la bocca ad ingoiare, ancora, il mio cazzo. E presi a fotterla, “usandola” come una mano per farmi una sega, come fosse una fica ≪Ti scopo la bocca. Ti fotto in gola≫ dicevo mentre le entravo dentro. Rita prese ad accentuare i movimenti che le suggerivo con la mano, sempre più giù, quasi ingozzandosi di cazzo; sentivo il rumore della sua gola riempita, i gorgoglii quasi, i suoi gemiti; sentivo la sua saliva che mi colava tra le gambe, sulle palle, in mezzo al culo.
E più spingevo, più le sue dita si tendevano verso di me, più “abusavo” di lei, più era disponibile a farsi fare quel che io desideravo (E CHE LEI DESIDERAVA!). La foga di quell’amplesso mi sorprese ad sollevarle il volto in modo brusco e tirarle uno schiaffo improvviso e forte che le fece girare la faccia, nonostante la tenessi ancora per i capelli.
≪Grazie≫.
No, non mi aspettavo quel “grazie”, non ancora, per questo lo trovai ancora più… forte… per questo la guardai con intensità e le dissi ≪Finisci il lavoro cagna≫, prima di spingerla di nuovo giù, sul mio cazzo.
≪Dammi tutto, padrone≫ replicò lei lasciandosi accompagnare e riempirsi ancora e ancora.
Lo feci, le riempii la bocca, alzandomi in piedi e prendendole la testa per darle cadenza e profondità, cominciando piano ed aumentando il ritmo e l’importanza delle spinte, man mano che la mia voglia saliva, che il mio piacere cresceva, che sentivo l’orgasmo montare, che sentivo i coglioni premere fin quando urlai ≪Vengooooo≫ scaricando tutto il mio piacere in fondo alla sua bocca.
Rita ingoiò “da brava” tutto quanto e si preoccupò di pulirmi bene quando sentì che avevo finito di spruzzare il mio orgasmo sulla lingua. Le lacrime le avevano fatto colare il rimmel dalle ciglia: sembrava una splendida bambola corrotta, appoggiò il viso alle mie gambe, mentre mi curvavo su di lei per annusare i suoi capelli e prendere io, questa volta, il suo odore.
Restammo un po’ sdraiati l’uno accanto all’altra, o meglio: io ero sdraiato al centro del letto a gambe e braccia larghe, soddisfatto per quel bocchino (lo chiamo così, ora, perché mi è sempre sembrato un termine più “sporco” ed il sesso orale che Rita mi aveva fatto e si era fatta fare era così: sporco e tremendamente eccitante) e sazio, esausto per l’emozione che il il modo di essere di Rita mi aveva dato e mi stava dando; lei accucciata al mio fianco, con la testa appoggiata al ventre ed il viso a toccare il mio cazzo a riposo dopo la sborrata.
Mi sembrava di vederla: la guancia sulla mia pancia, i capelli corti a farle da cornice, gli occhi aperti in un modo vigile-sognante, la bocca dischiusa a respirare e la punta dell’indice della mano sinistra a disegnare i contorni del mio cazzo che si stava svegliando di nuovo.
≪ Caspita! ≫ mi chiese Rita ≪ di già? ≫ riferendosi all’erezione che si stava apparecchiando tra le sue dita.
MI tirai a sedere sul letto, facendo spostare anche lei ed il suo copro minuto. Le presi dietro la nuca per darle un bacio che mi facesse godere di quelle labbra così sensuali. Stringevo i capelli tra le dita a costo di farle male, forse con la voglia di farle male, chissà, ≪ Volevi che ti legassi ≫ le dissi ≪ e adesso ti accontento, ma a modo mio ≫.
≪ Sì, Angelo ≫ rispose lei ≪ voglio che tu faccia a modo tuo ≫.
La lasciai seduta sul materasso, allontanandomi verso il mio armadio; Rita aspettava silenziosa, come partecipando ad un rito di cui conosceva già lo svolgimento.
Avevamo parlato tanto prima di incontrarci. Il tutto era partito in modo faceto, la avevo provocata in modo scherzoso, proprio qui, su questo sito, dove lei era presente come singola, era stata lei a cominciare a parlare di “cose serie”, dicendomi quanto le piacesse il sesso di quanto fosse selettiva, di quanto non cercasse la mera bellezza e, soprattutto, di quanto volesse testate alcune sensazioni che da non molto avvertiva come importanti: sembrava si fosse scoperta , come dire, geisha, masochista anche ed aveva voglia di mettersi nelle mani di qualcuno che non usasse il bdsm solo per scopare, solo come modo per farlo strano.
Vero, quello che avevamo appena fatto non era bdsm, ma non era nemmeno un “famolo strano”: era lo sfogo di un’attrazione che ci aveva convinti appena visti e dopo poche chiacchiere de visu, ma – pensai - era giunto il momento di fare le cose per cui ci eravamo attratti.
Tornai da lei con una benda di raso nero in una mano e una corda di cotone torto, lunga e morbida, nell’altra. Appena Rita mi vide capì, strinse le cosce come a dare pace ad un fremito che la colse improvviso, allungò le mani sulle cosce, stendendo le dita affusolate e sollevò leggermente il capo.
Mi avvicinai al suo corpo ancora seduto sul letto, lasciai cadere la corda sulle sue mani e sulle sue gambe, le spostai capelli dietro alle orecchie e con gentile lentezza la bendai: due giri attorno alla testa e sui suoi occhi, per poi stringere saldo un nodo dietro la nuca.
Andai a sedermi dietro di lei, sul letto e, presa la corda, cominciai a passarla sulla sua pelle, facendola scorrere sulle sue spalle poco sotto le ascelle, a formare come due asole annodate al centro, in cui erano infilate le braccia. Strinsi la stretta e ripetei gli stessi nodi altre quattro volte, scendendo di volta in volta, fino ad arrivare ai polsi. Quindi la feci sdraiare sulla schiena – e sulle sue stesse braccia legate – e feci passare la corda sotto il suo bellissimo culo; le raccolsi le gambe facendogliele piegare e le allargai: rimasi un attimo, che non so definire quanto lungo, a contemplare quello spettacolo di carne, succhi e pelo che si mostrava ai miei occhi. Rita gemette, come se sentisse il peso del mio sguardo sulla sua intima nudità, come se quello sguardo la stesse accarezzando, sul clitoride, sulle grandi labbra leggermente gonfie, sulle piccole protese verso l’esterno, su quella goccia che scivolava dal lato destro sulla natica, verso i suo buco del culo.
Mi distolsi da quella contemplazione e ripresi i mano la corda, avvolgendo con essa le gambe e le cosce di Rita, prima una, poi l’altra, legandole come fossero raccolte, rannicchiate e facendo in modo che restassero aperte. Molto. Completamente.
Mi fermai, di nuovo, ad osservare quel capolavoro di femminino che ora, in un certo qual modo, era anche il mio capolavoro: Rita era la mia tela bianca ed io l’artista che l’avrebbe dipinta, anche se non avrei usato alcun colore, ma le mie mani e…
dopo averla osservata, andai in bagno a prendere un catino, un pennello e il sapone da barba, ed il rasoio mono lama (del tipo che usano i barbieri) che usavo per radermi. Cambiai la lametta, mettendone una nuova e perfettamente pulita, intinsi il pennello nell’acqua calda contenuta nel catino e feci la schiuma; passai quel soffice artefatto sul pelo pubico di Rita: all’attaccatura delle cosce, sulle grandi labbra, tra le natiche, lasciando sul monte di Venere una striscia - che non avrei tagliato – larga circa tre centimetri.
≪ Ora stai ferma ≫ ordinai a Rita ≪perfettamente ferma ≫.
Ne avevamo parlato, quando ci raccontavamo fantasie, quello che ci eccitava, le cose cui non avremmo voluto rinunciare e quelle che avremmo voluto fare/provare insieme.
Fece un silenzioso sospiro quando sentì il dorso della mia mano toccarle l’interno coscia e, poi, la lametta posarsi con estrema cura sulla sua carne e cominciare a tagliare.
In casa il silenzio era quasi totale - o forse erano i nostri sensi ad essere eccitati in modo straordinario – si udiva solo il respiro di Rita e pareva si potesse sentire anche il passaggio della lama che recideva il pelo pubico, in modo delicato ma senza esitazione, senza incertezze.
Non era la prima volta che vestivo gli abiti del “barbiere” con una donna, ma per la prima volta notai un particolare che mai prima mi parve di vedere: il clitoride di Rita si era gonfiato ed eretto come un piccolo cazzo; l’eccitazione lo faceva vibrare e, quando decisi di sfiorarlo col dorso (non tagliente) del rasoio, dalla bocca di Rita uscì un suono che era un misto tra un gemito, un rantolo, un sospiro…
≪ Fermati ≫ mi chiese Rita ≪ continua pura a radermi, ma non toccarmi, altrimenti vengo e … ≫, non c’era bisogno che spiegasse, come non era il caso che un orgasmo la facesse tremare e contorcere mentre tra le gambe aveva una lametta. Interruppi i tocci sul suo grilletto, la feci “calmare” e continuai a radere, fino a che terminai il lavoro: lasciando il suo pube coperto solo di una striscia larga 2, 3 centimetri, perfettamente simmetrica e dritta; sotto, le grandi (e piccole) labbra scoperte ed anche quel clitoride che continuava a mostrarsi fuori dal suo cappuccio. Presi, allora, un balsamo profumato e, con le dita, lo spalmai sulla pelle rasata di fresco, per darle ulteriore sollievo.
Rita godeva quelle coccole, senza aspettarsi la molletta con cui strinsi quel minuscolo “pene di Venere”.
≪ Aaaahhhhhh ≫ gemette Rita. Non era dolore, non solo. Non era la prima volta per lei, questo lo sapevo, ma -forse – era la prima volta così … a sorpresa. Il suo primo impulso fu di chiudere le gambe, lo fece invano, legata com’era e fu ancora più divertente, come sentirle sussurrare ≪ Stronzo! ≫ senza una seguente richiesta di togliere quel “morso” al suo clitoride. In risposta, le salii sopra, poggiandole le palle sul viso e apostrofandola ≪ Le brave bambine non parlano con la bocca piena ≫ e lei si zittì, riempiendosi la bocca dei miei coglioni e dandomi piacere con al sua lingua avida. Dopo essermi gustato per un po’ la leccata di palle, mi allontanai, a malincuore dalla sua lingua, mi portai di nuovo tra le sue gambe aperte e, dopo averle carezzato l’interno delle cosce, la liberai dal morso godendomi lo stupore (sempre nuovo, seppur sempre uguale) della violenta sensazione che le diede l’affluire improvviso e repentino del sangue nel clitoride (sì, è quasi “peggio” quando al molletta viene tolta, che non quando viene messa). A quel punto mi posizionai meglio su quella fica rasata e dinnanzi a quel clitoride ora gonfio a dismisura e presi a leccarlo, prima, mordicchiarlo, poi, per ripetere il gioco di lingua e risucchio, fino a che, urlando, Rita non esplose nel suo secondo orgasmo, arcuando la schiena e spruzzandomi in faccia tutto il suo piacere, lavandomi decisamente la faccia, senza che mi desse fastidio: anzi!
≪ Non sapevo fossi una squirter ≫, dissi. ≪ Nemmeno io ≫ rispose lei.
Ma i giochi non erano finiti. E me lo fece ben capire quando mi disse ≪ Ti prego… adesso … riempimi ≫.
Cominciai a penetrarla con un dito, muovendolo avanti e indietro e rotandolo all’interno della sua vagina. Le dita divennero poi, due, tre, quattro. Spinsi la mano fino alle nocche, stando ben attento a come Rita reagiva: gemeva, sì, di piacere e ≪ Sì ≫ facendomelo sentire; si bagnava Rita, sempre di più, contribuendo coi suoi succhi a lubrificare la mia mano che avevo già provveduto ad ungere con un lubrificante preparato appositamente per quello che stavamo (sì, insieme) per fare. Estrassi leggermente la mano per chiudere le dita a cuneo e aggiungere il pollice e, quindi, spingere le cinque dita: prima piano, poi aumentando la pressione e roteando leggermente la mano, come per “preparare” l’ingresso, fino a che la pressione non fu tale che Rita mi disse – un po’ pregandomi, un po’ ordinandomelo (?) - ≪ Entra! ≫ .
Un’ultima spinta.
Un sospiro rumoroso. Un gemito urlato.
E la mia mano dentro di lei, fino al polso.
≪ Sì! ≫ disse Rita ≪ Sono piena! MI riempi cazzo… sono tua. Sono la tua troia! ≫.
Cominciai a scoparla con la mano e mi resi conto che lei aveva bisogno le liberassi le gambe. La corda, che avevo lasciato volutamente lunga, mi permise di sciogliere i nodi, che la costringevano a gambe spalancate, senza uscire da quella fica che mi stringeva la mano come la stretta di una piovra, come una bocca avida che sugge.
Appena fu libera, Rita raccolse le gambe sul petto, come a volersi aprire ancora di più, come a volersi offrire ancora di più e…. Non resistetti.
Accovacciato tra le sue gambe, con ancora la mano dentro di lei, avvicinai il cazzo al suo buco del culo, lo poggiai affinché lo sentisse e quando raccolse le gambe ancora una volta, mi spinsi nel suo culo!
≪ Cristo” cosa sei Rita! ≫ le dissi ≪ ti sto inculando, mentre con la mano ti sfondo la fica! ≫
≪ Oh sììììì! Sì padrone… ≫ mi disse lei ≪ sfondami, scopami, riempimi, ma non ti fermare! ≫
La sua fica mi stringeva le ossa della mano. Il suo culo mi strizzava il cazzo come se mi facesse un pompino. Aumentai il ritmo degli affondi nel suo culo, mentre Rita mi incitava ≪ Vieni! Vieni! Riempimi il culo Angelo! ≫ .
Ed io cedetti, esplodendo tutto il mio piacere, tutta la lussuria, in uno, due, tre, cinque, dieci getti di sborra calda, dentro a quel culo fantastico.
Nello stesso momento anche Rita ebbe un nuovo orgasmo: violento, potente.
La sua vagina si contrasse tanto da farmi male alla mano stringendola, prima di rilassarsi e lasciare che fosse il suo ano a sussultare spremendo le ultime gocce del mio sperma.
Con calma uscii ad lei, sfilando prima il cazzo e poi, con molta cura, la mano.
≪ Non sono mai stata così… troia ≫ disse.
≪ Non ho mai provato nulla del genere ≫ risposi.
≪ Dimmi, ti prego, dimmi che lo rifarai ancora ≫ .
[fine?]
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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